Foggiatura al tornio

L'artigianato

Pur con gli inevitabili scambi dovuti ai numerosi popoli arrivati dal mare, l'artigianato ha assunto in Sardegna caratteri di unicità rispetto a quella di ogni altra regione italiana, sia per consistenza e diffusione del fenomeno, sia per il suo costituire una delle principali forme creative dell'isola.

Presupposto fondamentale, nelle diverse forme funzionali dei manufatti, è il ricorrere costante dei medesimi motivi decorativi, quasi a sottolineare gli ideogrammi di partenza, una alfabeto comune che sembra alludere a un patrimonio autoctono, che nell'artigianato mostra una sua peculiare persistenza. Questo linguaggio di comunicazione visiva è oggi ricalcato nei segni ma stravolto nei significati (ad esempio, la "rosetta fenicia" nella nomenclatura corrente è divenuta "fiore", l'originario pavone "gallina" o "galletto"), ed è all'origine un linguaggio fortemente simbolico.
Infatti, contrariamente a quanto si ritiene, che cioè l'artigianato, non solo sardo, sia nato soltanto per dare risposte ad esigenze pratiche, la sua motivazione ha spesso un'origine sacrale, aspetto non secondario nell'analisi della sua genesi (ad esempio, la rete del filet migrata dagli altari agli arredi domestici; i ricami o i tessuti dei piviali rintracciabili negli abiti tradizionali delle feste).

Un lessico geometrico e sintetico pervade i segni e riduce all'essenziale la morfologia di tessuti, abiti, intagli, intrecci, ceramiche. Sino a poco oltre l'Unità Nazionale (1861), i manufatti erano destinati soprattutto al mercato interno, fortemente caratterizzati e adatti a un tipo di quotidianità rude e selvatica, storicamente cristallizzata in arcaismi ormai superati nell'Europa moderna. Proprio il loro essere "antichi", volendo preservarne i caratteri che ne costituiscono il pregio, rende difficile quando non impossibile la loro rifunzionalizzazione nella vita moderna.
Con l'Unità nazionale (1861) anche in Sardegna prende il via, infatti, il processo di massificazione culturale, alla cui definitiva opera di globalizzazione, causa la depressione economica, la regione si sottrae sino agli anni cinquanta del XX secolo, allinendosi definitivamente, due decenni più tardi, all'internazionalizzazione diffusa che caratterizza il passaggio dal secondo al terzo millennio.
Tuttavia è fin dagli anni Venti del secolo scorso che si è giocato, sul piano politico, il destino delle produzioni artigiane: alle soglie del Modernismo, la nazione vedeva oramai nell'artigianato un intralcio alla crescita industriale, ritenuta necessaria per il dialogo con le altre nazioni europee, indicando i manufatti artigianali quali materiali adatti più al museo etnografico, che alla fruizione quotidiana. Negli anni fra le due guerre mondiali, di forte spinta verso il futuro, per la Sardegna (e con essa per altre aree d'Italia) si prepara un destino che vuole il salto da un'economia arcaica, impostata sul binomio agricoltura/pastorizia, verso una società industrializzata, senza passare attraverso una fase "cuscinetto", come la storia di altri Stati insegna.

Nel 1929, a giustificare l'attenzione governativa per il settore artigiano, nasce l'ENAPI (Ente Nazionale dell'Artigianato e delle Piccole Industrie). Il suo programma è quello di convogliare le forze migliori, reclutate fra artisti e progettisti, affiancandole ad artigiani capaci. Si mira all'ottenimento di un manufatto che sia somma di due saperi: contenuto e tecnica. In Sardegna, visto il carattere straordinario delle sue produzioni, l'ENAPI è soppiantato nel 1957 dall'ISOLA (Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigiano), ad esclusiva matrice sarda, con le funzioni di promozione, distribuzione e vendita dei manufatti esclusivi, offerti col nuovo marchio.
Appariva tuttavia chiaro, già agli albori di queste scelte, che all'artigianato italiano, sardo compreso, veniva riservato un ruolo minoritario, quasi nulla sostenuto dal Governo, che, nei fatti più generali, favoriva lo smantellamento sistematico dei presupposti sociali che tenevano salde le radici artigiane: l'abbandono delle campagne, l'emigrazione, l'inurbamento, il sogno del posto fisso in fabbrica. A riprova delle responsabilità politiche basta osservare come il Museo Nazionale di etnografia nasca a Roma, dopo infinite polemiche, appena nel 1956 (e con esso anche quello di Nuoro, oggi facente capo all'ISRE) e rilevare l'assenza in Italia, a tutt'oggi, di un Museo delle Arti Applicate, naturale approdo dell'artigianato.

L'ISOLA avrebbe potuto rappresentare una reale opportunità per la Sardegna, ma l'esperimento mancò i suoi obiettivi, fors'anche perché troppo imperniato sulle scelte personali e sulle capacità individuali delle due figure di riferimento: Eugenio Tavolara e Ubaldo Badas. Con la loro scomparsa (nel 1963 il primo, nel 1985 il secondo) è tramontato il sogno di un artigianato sardo che, visti i presupposti, avrebbe potuto costituire un'opportunità di rinnovamento nella tradizione.
Al bilancio sugli aspetti culturali va tuttavia aggiunta la considerazione di un progressivo rincaro della manodopera, che, con la cessazione della richiesta, ha decretato la scomparsa di alcune espressioni quali i contenitori in sughero, alcuni tipi di intreccio, la tappezzeria d'arredamento, lasciando largo spazio a lavorazioni industriali o semindustriali o, ancora, accelerando i tempi di realizzazione a totale discapito della qualità.

Manufatti d'artigianato sardo di antica tradizione si possono vedere a Nuoro, nel Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde; a Roma, nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (EUR); a Sassari, nel Museo Archeologico Nazionale "G. A. Sanna".

Consulta la scheda del Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde di Nuoro
Consulta la scheda del Museo Nazionale "G. A. Sanna" di Sassari

Bibliografia
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Gioielli. Storia, linguaggio, religiosità dell'ornamento in Sardegna, Nuoro, Ilisso, 2004;
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