Brocchittolu (brocca), primi del Novecento

Ceramica

La ceramica sarda di antica tradizione si è espressa essenzialmente nelle terrecotte, in alcuni casi invetriate mediante galena piombifera, realizzate al tornio. L'isola, ricca di argille, aveva in Oristano il centro più attivo e di eccellenza; altri erano Assemini, Villaputzu e Dorgali. I ceramisti di Pabillonis, a sud di Oristano, erano specializzati nella realizzazione di stoviglie (pentole e casseruole) pirofile. Ma una limitata produzione di terrecotte era presente in molti altri centri sparsi sull'intero territorio isolano. In numerosi villaggi, ad esempio, si è serbata memoria della produzione locale, cotta in una primitiva fornace, di tegole ("coppo sardo", mediamente più grande della dimensione oggi corrente) o, più raramente, di mattoni pieni. Tuttavia, le tegole così ottenute avevano vita breve a causa della non perfetta pulitura dell'argilla dalle materie estranee che ne facilitavano la fessurazione.
Le forme d'uso domestico più diffuse sono state due: la brocca, quella principale, e la conca. La brocca era destinata al prelievo dell'acqua potabile, in assenza di una rete idrica pubblica. In casa aveva un posto riservato che prevedeva la raccolta dei liquidi di trasudamento; in estate si copriva con un panno umido per mantenere costante la temperatura dell'acqua. Allargata nella bocca e nel collo, e portata da due a quattro manici ("asas"), diventava contenitore per cibi (miele, lardo, frutta, olive). Diffusa capillarmente in tutta l'isola, la brocca è rimasta il simbolo della perizia dei tornitori sardi (che per entrare nella corporazione dovevano saper realizzare tale manufatto in dimensioni scalari) e dei fornaciai, specializzazioni racchiuse nella generica definizione di artigiano della creta.
Essa mostrava leggere differenze nella forma della pancia, del collo, delle anse, a seconda del centro di produzione dove, naturalmente, erano realizzate in misure differenti, dalla piccola ("brocchittolu"), alla media ("brocchitta"), alla più grande. Una variante occasionale della brocca, realizzata a Oristano, era quella detta "della festa" o "della sposa", arricchita da aggiunte plastiche con veri e propri cicli narrativi tematici. Questa brocca rituale, pezzo di bravura recante spesso il nome dell'autore, era, a differenza di quella d'uso, invetriata con la galena che ne dava la caratteristica colorazione nelle sfumature del verde o del giallo, a seconda che vi prevalesse il rame o il ferro.
La conca ("scivedda, tianu"), grande bacile tronco-conico, era destinata principalmente a coadiuvare le fasi della panificazione: col bordo basso quella destinata alla lavorazione dell'impasto, alto qualora fosse impiegata per la lievitazione. Questa prassi panificatoria, diffusa nelle aree a vocazione frumentaria della Sardegna, quindi al centro-sud, determina in queste zone la massima diffusione della conca. Se ne conoscono rari esemplari istoriati, destinati a un uso rituale.
La modellazione di brocche e conche, ancora negli anni Cinquanta del secolo XX, avveniva per mezzo del tornio azionato dal piede. Una brocca di medie dimensioni piena d'acqua, portata un tempo sul capo attraverso la mediazione di un cercine in tessuto, aveva un certo peso: obiettivo del tornitore era dunque quello di realizzare un manufatto dai bordi sottili (in tal senso le pentole pirofile originarie di Pabillonis presentano spessori di impressionante sottigliezza), prassi completamente tradita dall'attuale produzione a scopo turistico.