Una immagine del cantadore Antoni Cubeddu

Storia della gara poetica

La ricerca di fonti documentarie su una tradizione orale non è il compito più agevole che possa essere svolto. La poesia improvvisata, nella Sardegna dell'età moderna, doveva essere un'abitudine e un vezzo popolare che interessava certamente anche le classi dirigenti. Lo studio delle fonti è viziato anche da una certa confusione terminologica creata in seguito dalla critica storica dell'Ottocento e del Novecento. Da un certo punto in poi, infatti, per ragioni di militanza politico-culturale, "popolare" significò soprattutto "scritto in sardo", mentre "colto" era tutto ciò che risultava scritto in italiano. Ma la poesia orale, popolare e improvvisata non va confusa con la lirica letteraria, colta, e spesso esteticamente pregevole, restituita dagli autori sardi dei vari secoli in "limba". Anzi, questa che era semplicemente – in termini europei odierni – la letteratura di una minoranza linguistica, venne definita in maniera obbrobriosa "semicolta", proprio per la difficoltà a riconoscere dignità letteraria e aulica alla produzione in lingua sarda. Affermare questo non significa però dire che non esistevano rapporti tra i due mondi. Anzi. Ad esempio, l'ottava di endecasillabi, il metro più diffuso tra i cantadores, è di origine certamente colta (probabilmente di area umanistica italiana).

Ma la poesia "a bolu" , in ogni caso, appartiene a un altro mondo, quello della versificazione estemporanea di natura prettamente etnologica e "popolare" nell'accezione più neutra che ci sia. Se si eccettua un breve cenno alla poesia popolare fatto da Salvatore Vidal in un'opera del 1683, ne dà testimonianza Matteo Madao nel 1787 nel volume "Armonie dei sardi", nel quale si possono ricavare alcune scarne notizie. Certamente si deduce che il costume della versificazione è di origine antichissima e che esisteva una differenziazione di stili tra il Nord e Sud dell'isola. Sul mensile "Biblioteca sarda" nel 1939, Vittorio Angius si occupa dell'argomento con ammirazione e competenza. Allo stesso modo Giovanni Spano non tralascia tale campo di studi. Il canonico di Ploaghe dà una descrizione abbastanza verosimile della realtà a lui contemporanea sostenendo che i poeti improvvisatori, già allora erano considerati dei veri e propri eroi dalla popolazione dei paesi.

La gara non era ancora regolata e "istituzionalizzata" come quella odierna, ma certamente le occasioni di sfida non mancavano. Del resto, anche in figure di un certo interesse letterario come Melchiorre Murenu (che è una figura al confine tra la poesia orale e colta), l'importanza della versificazione in pubblico si coglie notevolmente. Secondo le fonti riportate da Paolo Pillonca in "Chent'annos", le prodezze dei cantadores in ottava rima di endecasillabi non mancavano di interessare personaggi della Sardegna colta, da Sebastiano Satta ad Antonio Gramsci.

Accanto alla versificazione spontanea per le occasioni private, i poeti più dotati dovevano spesso esibirsi in pubblico in occasioni di feste e riti religiosi o civili. Fino a quando a Ozieri nel 1896, per inziativa di tiu Antoni Cubeddu, la gara in piazza venne regolarizzata quasi cosi come oggi la conosciamo noi. La differenze più importanti sono nella durata e nella ricompensa dei poeti. All'inizio, infatti, si stabiliva un premio che veniva riscosso solo dal vincitore. Successivamente, per ragioni pratiche, si stabilì di retribuire tutti gli artisti.